Istituto superiore di sanitàL’Istituto Superiore di Sanità da anni è impegnato in attività di comunicazione e sensibilizzazione per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e i bambini con progetti di ricerca, formazione e sorveglianza ospedaliera. Tali iniziative sono in linea con il piano d’azione globale approvato dall’Assemblea Mondiale della Sanità nel 2016 per rafforzare il ruolo del sistema sanitario nella risposta alla violenza interpersonale, in particolare contro donne, ragazze e bambini e il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020) che ha incentrato la propria azione lungo 4 assi di intervento: Prevenzione, Protezione e sostegno, Perseguimento dei colpevoli.

Per rispondere agli obiettivi del Piano, l’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute e in rete con  presidi ospedalieri e i servizi sanitari ha avviato progetti sorveglianza ospedaliera e di formazione per aumentare la capacità di riconoscimento dei segni della violenza negli operatori socio-sanitari dei Dipartimenti di Emergenza e Urgenza (DEA) e dei servizi socio-assistenziali. I DEA rappresentano, infatti, uno dei punti importanti di identificazione per i fenomeni di abuso e maltrattamento delle donne e dei minori.

Gli operatori sanitari devono essere a conoscenza dei protocolli e delle modalità più idonee per accogliere le donne vittime di violenza. Il Ministero della Salute – grazie anche ai risultati e alle evidenze scientifiche prodotte nell’ambito di progetti di sorveglianza da esso finanziati – ha emanato le Linee Guida (LG) nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema soccorso e assistenza per le donne che subiscono violenza (D.P.C.M. 24 /11/2017). Lo scopo è quello di fornire un intervento tempestivo e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche della violenza sulla salute della donna. Tale fenomeno rappresenta, infatti, un problema di salute pubblica globale oltre a rappresentare una violazione dei diritti umani (Convenzione Istanbul, 11 maggio 2011) nonché  uno dei principali fattori di rischio, di cattiva salute e di morte prematura per le donne e le ragazze (WHO, 2002). È un fattore di criticità urgente in quanto compromette la salute psico-fisica delle donne limitandone le libertà personali e condizionando la crescita del capitale umano e del sistema economico e sociale nel suo complesso.

Dai dati dell’OMS emerge come la prevalenza globale di violenza domestica e sessuale sulla donna sia pari al 35,0% e, nella Regione Europea, una donna su quattro ha subito una violenza fisica e/o sessuale dal partner, o una violenza sessuale da un altro uomo (OMS, 2013).

In Italia sono 6 milioni e 788mila sono le donne che hanno subito una qualche una forma di violenza fisica o sessuale: il 31,5% tra i 16 e i 70 anni, il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri (ISTAT, 2015). I dati di Pronto Soccorso evidenziano una realtà preoccupante che dimostra un’ampia diffusione e radicamento della violenza di genere: nel triennio 2017-2019 le donne che hanno avuto almeno un accesso in Pronto Soccorso con l’indicazione di diagnosi di violenza sono state 16.140 per un numero totale di accessi in Pronto Soccorso pari a 19.166.

La violenza sulle donne non è, dunque, una questione privata, ma – come ha sottolineato l’Unione Europea – riguarda tutta la società nel suo complesso. È un fenomeno che si alimenta di pregiudizi e stereotipi comuni profondamente radicati e diffusi nella società. Diventa, quindi, importante riconoscere i segnali di maltrattamento e abuso nelle sue varie forme: psicologica, fisica, economica, sociale e culturale. La tradizione che ancora alimenta una cultura del possesso nella relazione affettiva  impedisce di leggere nello squilibrio dei rapporti uomo-donna i segni alla base della violenza. A ciò si aggiunge il senso, molto spesso concreto, di solitudine vissuto dalla donna che subisce maltrattamenti e violenze all’interno della mura domestiche. La rete dei rapporti umani che circonda la donna che subisce violenza può fare la differenza assieme a quella dei servizi ed enti istituzionali che costituiscono la “rete antiviolenza” (centri antiviolenza, operatori di emergenza, forze dell’ordine, servizi sociali territoriali ecc.).

L’impatto sociale della violenza sulla popolazione e, soprattutto, su donne e bambini in termini di frequenza e gravità del danno psico-fisico, ha reso la risposta assistenziale e la prevenzione un importante obiettivo di politica sanitaria e attualmente costituisce una delle sfide umanitarie più grandi.

Il Dipartimento di Neuroscienze dell’Iss ha sviluppato al riguardo strumenti d’informazione e formazione rivolti agli operatori sanitari e di promozione della salute nella popolazione, basati su evidenze epidemiologiche e su prove di efficacia, per riconoscere i segnali della violenza.

E’ in questo quadro che si colloca la positiva e fruttuosa collaborazione con il Melograno nell’ambito di della tematica della violenza in gravidanza, rispetto alla quale sono ancora poche le evidenze scientifiche essendo un fenomeno, per sua natura, sottostimato in quanto sui due termini, violenza e gravidanza, influiscono rappresentazioni stereotipate , modelli culturali di genere che sono espressione di una cultura patriarcale. Ragione per la quale costante deve essere il lavoro di formazione degli operatori e, nel caso specifico, delle ostetriche che rappresentano le “sentinelle” in grado di individuare precocemente i segnali di violenze pregresse e/o subite durante la gravidanza. La gravidanza rappresenta un’opportunità per far emergere situazioni di maltrattamento in quanto le donne che seguono programmi di controlli prenatali entrano in contatto con il SSN. La formazione delle ostetriche si è incentrata, quindi, sull’acquisizione di competenze pratiche di osservazione e gestione dei casi, sugli elementi della comunicazione per favorire la costituzione di un rapporto di fiducia ed empatia. Saper interpretare i segni corporei, le espressioni del volto e tutti gli ambiti della comunicazione non verbale rappresentano abilità chiave e punti di forza per le ostetriche.

L’esperienza dell’Iss nell’ambito dell’armonizzazione dei modelli d’intervento nei servizi sanitari ospedalieri e territoriali -a partire dal riconoscimento delle vittime di violenza nei setting di assistenza sanitaria in emergenza, grazie anche all’analisi e al confronto con gli interventi e le esperienze di altri Paesi – rappresenta una risorsa per la formazione degli operatori socio-sanitari.

L’assistenza alla donna in gravidanza che ha subito violenza risulta alquanto complessa in quanto

non solo offre cura e assistenza, ma anche riconoscimento dei loro bisogni. Proprio per questo la formazione delle ostetriche è stata rivolta ad approfondire quelle competenze utili a resistere alla tentazione di generalizzare e semplificare tutto con la razionalità tecnica. Aiutare a gestire  il disagio esistenziale legato a vissuti inquietanti che mettono in discussione tutti i parametri di umanità, di fiducia ed intimità rappresenta un altro importante compito degli operatori socio-sanitari.

L’ostetrica che si trova a contatto con la donna deve poter mettere in campo tutte le tecniche di  ascolto e comunicazione non verbale, prestando attenzione soprattutto alle parole non dette, perché difficili da pronunciare.

Purtroppo diventa difficile, nei pronto soccorso ospedalieri, nel caos in cui versano, trovare il modo di porsi in ascolto e di curare con attenzione le “ferite nascoste”; eppure è indispensabile, perché dalla capacità degli operatori di capire, dipende la decisione della donna di aprirsi e uscire dal vortice della violenza .

Dunque alla capacità di ascolto che permette di capire se ci si trova di fronte ad un caso di violenza, è necessario accostare l’azione dell’informare, sulle scelte possibili e sulla rete di servizi pubblici o di volontariato sociale, in grado di fornire un aiuto competente anche in relazione ai diritti legali. Da quanto esposto ci si rende conto, che la figura delle ostetriche è centrale in quanto rappresenta il primo filtro tra la donna e i servizi di accompagnamento alla gravidanza. Spesso, alcuni importanti aspetti dell’accoglienza e della presa in carico sono affidati al caso, senza una adeguata formazione del personale preposto. Sono molte le donne che, vittime di violenze, hanno raccontato come spesso il personale socio-sanitario delle strutture di emergenza non ha saputo leggere i segnali della paura, della vergogna, dei silenzi che chiedevano giustizia. In  molti casi gli operatori non preparati e formati  hanno espresso pericolosi  giudizi non richiesti .

Dato il ruolo importante del processo di assistenza alle donne in gravidanza che hanno subito violenza si rende necessaria una formazione ad hoc del personale di ostetricia-ginecologia, affinché oltre a fornire assistenza, gli operatori possano aiutare ad andare oltre quel muro di paura e di silenzi.

La formazione di chi accoglie e assiste deve essere esperta e qualificata.

Non ultimo, devono essere create le condizioni  di lavoro favorevoli e dignitose per gli operatori sanitari, che non solo devono essere supportati, ma soggetti a supervisioni per prevenire attitudini negative che possono perpetuare il maltrattamento verso le donne.

L’Istituto, e gli enti proposti alla prevenzione della violenza di genere, devono continuare nell’impegno della formazione degli operatori e in primis le ostetriche, affinché sia possibile, attraverso una competente formazione, mettere in atto le più efficaci misure di  prevenzione  e contrasto della violenza, consentendo di promuovere un’assistenza rispettosa alla maternità e una sempre migliore protezione alle donne già vittime di violenza.